Memoria e verità: il fondamento della coscienza collettiva
Non possiamo
costruire un futuro migliore senza riconoscere con onestà il nostro passato. In
ogni epoca, la memoria storica si è rivelata uno strumento essenziale per
creare identità, prevenire gli orrori già vissuti e orientare consapevolmente
il presente. Ma questa memoria, per essere autentica, non può mai separarsi
dalla verità. Raccontare due verità non è possibile, perché la verità, per
quanto complessa e multiforme, è una sola.
La memoria non
è semplice evocazione o racconto: è testimonianza responsabile. Non basta
ricordare gli eventi del passato; è necessario ricordarli in modo vero, senza
distorsioni o silenzi funzionali. Quando il ricordo si fa selettivo, mitigato o
addirittura manipolato, smette di essere uno strumento di coscienza e diventa
uno strumento di potere.
La verità
storica è un dovere morale. Non possiamo creare identità collettive mature e
solidali se fondiamo il nostro racconto su versioni alternative, su mezze
verità che dividono invece di unire. Solo la memoria fondata sulla verità
permette a una comunità di riconoscersi e trasformarsi.
Chi siamo, come
ci raccontiamo, quali valori trasmettiamo: tutto questo nasce dalla nostra
memoria condivisa. Ma se quel ricordo è frammentato, omissivo o negata,
l’identità collettiva si svuota o si radicalizza. Ecco perché è fondamentale
che la memoria sia lucida, critica, e onesta: solo in questo modo può generare
una cittadinanza responsabile, capace di discernere e costruire.
Ricordare i
tragici fatti del passato, genocidi, guerre, persecuzioni, non è mai un atto
sterile. È una forma di resistenza alla rimozione, un modo per dire: “Abbiamo
imparato. Non permetteremo che accada di nuovo.”
La memoria, in
quanto strumento di verità, è anche uno scudo morale contro il ripetersi delle
atrocità. Quando si rimuove la memoria, si lascia spazio all’indifferenza. E
quando l’indifferenza prende il sopravvento, il terreno è fertile per il
ritorno della violenza, del razzismo, dell’odio ideologico.
Ogni società,
che vuole evolversi, deve avere il coraggio di guardare il proprio passato ,
anche quello più oscuro, per imparare, correggere, migliorare. Ricordare non è
fissarsi sul dolore, ma usare il dolore come carburante per un futuro più
umano.
È proprio in
questo contesto che la scuola e le istituzioni pubbliche hanno una missione
cruciale. Non è sufficiente trasmettere nozioni o date: serve trasmettere
coscienza. Gli educatori, gli enti locali, i luoghi della memoria devono farsi
custodi della verità storica, garantendo che le nuove generazioni ricevano un
racconto fedele, riflessivo e condiviso dei fatti.
Il dovere
educativo è anche un dovere civico: la verità non può essere pluralizzata per
convenienza. Solo una memoria che rispetta la verità può generare rispetto,
giustizia e responsabilità.
La memoria è il
nostro specchio collettivo. Senza verità, questo specchio si incrina, con esso anche la nostra identità. Fare
memoria senza verità significa non fare giustizia: è tradire il ricordo delle
vittime e privare le generazioni future della possibilità di comprendere. Spetta alla scuola e alle istituzioni il
compito di mantenere vivo il ricordo, non solo come esercizio commemorativo, ma
come atto di costruzione democratica. Perché solo chi ricorda con verità può
davvero progredire.
Michele Fiaschi
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