Araldica Enti Locali

Quando un Ente pubblico italiano decide di dotarsi di uno stemma ufficiale, non si tratta semplicemente di scegliere un disegno evocativo. Al contrario, entra in gioco un insieme articolato di regole araldiche e disposizioni normative che assicurano coerenza, autorevolezza e continuità con la tradizione.

Il Dpcm 28 gennaio 2011 ha avuto il merito di razionalizzare queste regole e, allo stesso tempo, modernizzare il linguaggio normativo e semplificare le procedure.

Al centro di questo impianto simbolico c’è lo scudo, che costituisce la base di ogni stemma. Secondo il decreto, la forma da adottare è quella dello scudo sannitico moderno, una sagoma dalle proporzioni ben definite: sette moduli di larghezza per nove di altezza. Questa uniformità non è un dettaglio secondario, ma una scelta precisa che garantisce coerenza stilistica tra gli emblemi degli enti che operano nel sistema istituzionale italiano.

A rendere lo stemma ancora più rappresentativo è la presenza della corona araldica, posizionata al di sopra dello scudo e adattata in base alla natura giuridica e allo status dell’ente. Il decreto prevede diverse tipologie:

Per le province, la corona è un cerchio dorato, liscio ai margini e decorato con gemme. Da questo cerchio si dipartono due rami – uno di quercia e uno di alloro – che si incrociano al di sotto e ricadono lateralmente, evocando equilibrio, forza e saggezza.



Per i comuni insigniti del titolo di città, la corona assume la forma detta "turrita": un cerchio aperto con otto torri (cinque visibili) unite tra loro da cortine murarie. Le torri dorate, murate di nero, richiamano l’idea di indipendenza civica, autonomia e prestigio storico.

Per i comuni ordinari, la corona richiama una cinta fortificata, realizzata in argento, con quattro porte (tre visibili) e sedici aperture sovrastate da merlature “a coda di rondine” tipiche della tradizione architettonica medievale italiana.

Per gli altri Enti (Fondazioni, Università, Forze Armate, Associazioni, ecc.), non esiste una corona predefinita. In questi casi, l’Ufficio onorificenze e araldica può studiare e concedere una corona speciale elaborata ad hoc, mantenendo comunque il rispetto della simbologia araldica.

Accanto allo stemma, troviamo un altro elemento fondamentale: il gonfalone, drappo cerimoniale pensato non come una bandiera, ma come emblema da esibire con solennità in cerimonie pubbliche e ufficiali.

Il gonfalone deve rispettare dimensioni standard (90 per 180 cm), essere realizzato nei colori dello stemma e impreziosito da ricami, frange e cravatte tricolori. L’asta che lo sostiene è rivestita di velluto e termina con una punta metallica sormontata dallo stemma stesso. Anche qui, i materiali e le finiture – oro o argento – variano in base alla natura dell’ente che lo adotta.

Non mancano poi una serie di disposizioni particolari che tutelano l'integrità e la dignità degli emblemi. Il decreto vieta ogni modifica agli stemmi storici già approvati, impedisce l’uso improprio degli stemmi in ambito commerciale (per esempio nei marchi di fabbrica), e proibisce agli enti locali di utilizzare l’emblema dello Stato, a meno che non abbiano ricevuto una concessione formale. Persino i motti – le brevi frasi che talvolta accompagnano lo scudo – devono essere composti in lettere romane maiuscole e disposti su nastri bifidi, dello stesso colore del fondo dello scudo.

Nel complesso, queste norme non sono meri formalismi: sono strumenti per preservare la memoria storica e l’identità pubblica. Uno stemma non è solo un disegno. È una rappresentazione grafica e codificata della comunità che lo adotta, una sintesi visiva dei suoi valori, della sua storia e del suo ruolo nella collettività. Tali principi sono la garanzia che ogni stemma rappresenti in modo autentico, coerente e solenne l’identità dell’Ente che lo adotta. In un Paese come l’Italia, dove ogni borgo conserva una storia millenaria e una tradizione civica radicata, lo stemma diventa una sorta di “firma visiva”, un simbolo, che parla di appartenenza e di memoria.

Michele Fiaschi

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