San Massimiliano Kolbe: modello per i giornalisti cattolici
Nel calendario
liturgico, il 14 agosto è una data che risuona con forza e commozione: la
Chiesa celebra San Massimiliano Maria Kolbe, francescano polacco, martire ad
Auschwitz, ma anche instancabile comunicatore, fondatore di riviste e comunità
religiose. Un uomo che ha saputo coniugare la contemplazione con l’azione, la
spiritualità con la modernità, la parola con il sacrificio. Non a caso, è un modello per i giornalisti cattolici: perché prima di morire per amore,
visse per diffondere la verità.
La sua fine è
nota e commovente. Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz nel 1941,
padre Kolbe si offrì volontariamente di morire al posto di un padre di famiglia
condannato alla fame nel bunker della morte. Dopo due settimane di agonia, fu
ucciso con un’iniezione di acido fenico. Le sue ultime parole furono “Ave
Maria”. Un gesto che ha fatto dire a Giovanni Paolo II, durante la
canonizzazione del 1982: «Massimiliano non morì, ma diede la vita per il
fratello». In quel luogo disumano, Kolbe testimoniò la dignità dell’uomo e la
potenza dell’amore.
Ma prima di
essere martire, Kolbe fu un comunicatore. E non uno qualsiasi: fu un pioniere
della stampa cattolica, un visionario che comprese il potere della parola
scritta per evangelizzare, formare, unire. Nel 1917, ancora giovane religioso,
fondò la “Milizia dell’Immacolata”, un movimento mariano per la conversione del
mondo attraverso Maria. Per diffonderne il messaggio, ideò un piccolo giornale:
Il Cavaliere dell’Immacolata. Da poche pagine ciclostilate, la rivista crebbe
fino a raggiungere milioni di copie, diventando uno dei periodici cattolici più
diffusi del suo tempo.
Kolbe non si
limitò a scrivere: costruì vere e proprie cittadelle della comunicazione. A
Niepokalanów, vicino a Varsavia, fondò la “Città dell’Immacolata”, un centro
editoriale e religioso che arrivò a contare oltre 700 frati, una tipografia
all’avanguardia e una rete di distribuzione capillare. Lì si stampavano
riviste, opuscoli, libri, tutti animati da un fervore missionario e da una
profonda devozione mariana.
Il suo sogno
non si fermava ai confini della Polonia. Con il permesso dei superiori, partì
per il Giappone, dove fondò una nuova “Città di Maria” a Nagasaki. Anche lì,
avviò una tipografia e cominciò a pubblicare Il Cavaliere dell’Immacolata in
lingua giapponese. Collaborò con ebrei, protestanti, buddisti, cercando il seme
di verità in ogni religione. Aprì una casa anche in India, a Ernakulam. La sua
visione era universale: comunicare Cristo attraverso Maria, ovunque, con ogni
mezzo.
Nel 1984, due
anni dopo la canonizzazione, San Massimiliano Kolbe è stato proclamato patrono
dei giornalisti cattolici. Non solo per la sua opera editoriale, ma per il modo
in cui ha incarnato la missione del comunicatore cristiano: cercare la verità,
difendere la dignità umana, promuovere il bene comune, anche a costo della
vita. In un’epoca segnata da propaganda, ideologie e manipolazioni, Kolbe ha
usato la stampa come strumento di luce, non di potere.
Il suo esempio
è oggi più attuale che mai. In un mondo dove l’informazione corre veloce, ma
spesso si smarrisce il senso, Kolbe ricorda che il giornalismo cattolico non è
solo mestiere, ma vocazione. Che la penna può essere croce e la parola può
diventare preghiera.
La sua figura
continua a ispirare giornalisti, comunicatori, missionari, educatori.
Niepokalanów è ancora oggi un centro editoriale e spirituale. La “Milizia
dell’Immacolata” è diffusa in tutto il mondo. E ogni 14 agosto, la sua memoria
ci invita a riscoprire il coraggio della verità, la forza della fede, la
bellezza del dono.
Michele Fiaschi
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