I muri che dividono l’umanità: da Berlino alle porte d’Europa


 

Il 13 agosto 1961, Berlino si svegliò in silenzio. Ma quel silenzio era assordante. Durante la notte, il governo della Germania Est aveva iniziato a costruire una barriera di filo spinato e cemento che avrebbe cambiato per sempre il volto della città e la vita dei suoi abitanti. Il Muro di Berlino non fu soltanto un confine fisico: fu una ferita aperta, una cicatrice che per quasi trent’anni separò famiglie, amici, sogni e ideologie. Simbolo tangibile della Guerra Fredda, quel muro incarnava la divisione tra due mondi: quello capitalista e quello comunista.

Novantasei chilometri di cemento, torrette di guardia, fossati e campi minati. Una barriera che non proteggeva, ma imprigionava. Il regime della DDR lo giustificò come una misura di sicurezza contro l’infiltrazione occidentale, ma la verità era ben diversa: serviva a impedire la fuga dei cittadini verso la libertà. E così, giorno dopo giorno, Berlino diventava il teatro di una tragedia silenziosa, dove lo sguardo oltre il muro era un atto di resistenza.

Poi, il 9 novembre 1989, accadde l’impensabile: il Muro cadde. Le immagini di berlinesi che si abbracciavano sopra le macerie, di picconi che demolivano il cemento, di lacrime e sorrisi, sono impresse nella memoria collettiva. Fu la fine di un’epoca, l’inizio della riunificazione tedesca, un segnale che il mondo poteva cambiare. Ma il significato del Muro va oltre la sua caduta. È diventato un monito, un simbolo della fragilità della libertà e delle conseguenze devastanti della paura e della divisione.

Eppure, oggi, a più di sei decenni da quel giorno d’agosto, il mondo è ancora pieno di muri. Alcuni sono visibili, altri invisibili. Alcuni sono costruiti con mattoni e filo spinato, altri con parole, paure e pregiudizi. E non sono solo lontani: sono alle porte d’Europa.

In Ungheria, una barriera al confine con la Serbia cerca di fermare il flusso migratorio proveniente dai Balcani. In Grecia, il muro lungo il confine con la Turchia, nella regione di Evros, è stato rafforzato per bloccare l’ingresso dei migranti. In Polonia, una recinzione lungo il confine con la Bielorussia è stata costruita ufficialmente per motivi di sicurezza, ma di fatto per respingere i rifugiati. E poi ci sono Ceuta e Melilla, le enclavi spagnole in Marocco, circondate da barriere alte sei metri, pattugliate e sorvegliate, per impedire l’ingresso di migranti africani.

Questi muri non sono solo strutture di difesa: sono dichiarazioni politiche, manifestazioni di chiusura, simboli di un’Europa che fatica a conciliare sicurezza e solidarietà. Ma il problema non si ferma qui. Oltre ai muri di cemento, ci sono quelli che non si vedono ma che pesano altrettanto. Sono i muri interiori, costruiti con la malta della paura e i mattoni del pregiudizio.

La paura del diverso, dell’immigrato, dell’estraneo, è alimentata da narrazioni tossiche che dipingono l’altro come una minaccia. Le differenze culturali, religiose e linguistiche vengono strumentalizzate per creare divisioni, anziché essere celebrate come ricchezze. I social media.  i fatti di cronaca amplificano le nostre paure, polarizzano le opinioni e rendono difficile il dialogo. In questo clima, l’accoglienza diventa un atto rivoluzionario. Offrire un sorriso, ascoltare una storia, aprire una porta: sono gesti semplici ma potenti, capaci di abbattere muri invisibili e costruire ponti.

La storia ci ha già mostrato dove porta l’isolamento. Il Muro di Berlino non ha protetto nessuno: ha solo soffocato speranze e libertà. La sua caduta ha dimostrato che nessun muro è eterno, e che la volontà dei popoli può superare qualsiasi barriera. Oggi, la sfida è più sottile ma altrettanto urgente. Dobbiamo riconoscere i muri che ci circondano, fisici e mentali, e impegnarci a smantellarli. Non con picconi, ma con empatia, dialogo e coraggio.

Abbattere i muri significa scegliere la speranza, la convivenza, la pace. Significa credere che un mondo senza barriere è possibile, e che ognuno di noi può contribuire a costruirlo. La diversità non è una minaccia, ma una risorsa. L’incontro con l’altro è un’occasione di crescita, non un rischio. La solidarietà è l’unico antidoto alla paura.

È tempo di abbattere i muri che dividono le nostre menti e i nostri cuori, per costruire un futuro in cui la diversità sia un valore e non una minaccia.

Michele Fiaschi

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